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Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

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Credo non ci sia proverbio più azzeccato! Ho immediatamente associato questo antico detto alla situazione che leggevo sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 21 settembre scorso. L’articolo riportava una vicenda, accaduta pochissimo tempo addietro, che illustrava una situazione di ordinaria incomunicabilità tra persone di culture diverse; soggetto inconsapevole, il Castel del Monte.

In occasione di un servizio giornalistico che avrebbe dovuto avere come tema la promozione della eno-gastronomia locale, una emittente tedesca ha fatto richiesta alla Soprintendenza delle Belle Arti di effettuare le riprese al Castel del Monte. In risposta, ha ottenuto una richiesta di 5.000,00 euro per la concessione dei diritti di ripresa. La richiesta è stata ritenuta troppo onerosa ed il servizio è saltato. Di qui il malcontento degli operatori locali manifestato attraverso un loro rappresentante, il dr. Giuseppe Marmo, Presidente del Comitato di Gestione “Strada dei Vini DOC Castel del Monte“.

Non sono certo nuove le situazioni che vedono confrontarsi, non tanto interessi diversi, quanto culture e modi di vedere diversi e quasi sempre contrapposti.  A conferma di questo, la famosa trasmissione di Rai 3, Report, nella scorsa stagione, ha addirittura dedicato una intera puntata all’argomento della valorizzazione dei nostri beni culturali.

Non sono in grado di valutare se nel caso denunciato i cinquemila euro richiesti per la concessione dei diritti di ripresa televisiva dalla Soprintendenza siano molti o pochi, ma certamente posso affermare che ancora una volta non si è stati in grado di cogliere un’opportunità.

La situazione e l’articolo in questione hanno riportato alla mia mente quei vecchi professori che discernevano tra cultura con la “C” maiuscola e cultura con la “c” minuscola; che contrapponevano il sapere “classico” al sapere “scientifico”, dando ovviamente più valore al primo che al secondo. Credo che che ne esistano ancora. Tra questi antichi e sterili distinguo sono venute sù generazioni e generazioni di professionisti e così, quindi, anche la classe dirigente e della burocrazia. I corsi universitari che producono i nuovi manager che gestiranno secondo criteri moderni il nostro patrimonio culturale sono cosa ancora troppo recente. Ma, così dicendo, sembrerebbe che sia tutta colpa di Soprintendenti ottusi e cerberi nella difesa dei nostri beni culturali; ovviamente così non è, sarebbe troppo facile ridurre il tutto alla ricerca dell’unico colpevole. Il vero problema, a mio parere, è il sistema Italia che ancor oggi alimenta un brodo di cultura che genera legislazioni criptiche e sovrapponenti, che pone ai livelli più alti di comando quasi sempre persone formate in materie con la “C” maiuscola e poco inclini a dare ad altre “culture” la stessa dignità della loro e quindi realmente aperte ad un vero confronto; un sistema che, al di là delle parole e dei buoni propositi, è così tanto rivolto al passato quanto poco al futuro, che vede proprio in questo futuro più una fonte di rischio che di opportunità.

È utile ricordare, però, che in molti di quei casi in cui si è voluto fare i “moderni” si sono ceduti beni di elevato valore a privati, senza esercitare i dovuti controlli; ne sono nati alberghi di lusso; beni, di fatto, sottratti alla comunità. Ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio però credo sia giusto ammettere che in questi casi il partito dei vituperati burocrati avebbe fatto bene a tener stretta la cinghia dei permessi e delle concessioni.

La ricerca dell’equilibrio, per noi italiani, è sempre stato un esercizio ostico; confondiamo spesso l’equilibrio con il compromesso, nel cui esercizio siamo invece esperti e non riusciamo a trovare quasi mai un’altra via possibile, equa e proficua.

Il succitato articolo è denso di spunti su cui si potrebbe lungamente scrivere. Si fa cenno, ad esempio, anche ad episodi passati in cui il permesso di promuovere prodotti eno-gastronomici della nostra terra presso il Castel del Monte sia stato negato. La puerile concezione che vede le due culture, quella artistica e architettonica opposta a quella più antropologica espressa dall’eno-gastronomia e perché no, dall’economia, è figlia del trito e ritrito confronto tra le due “C”.

A mio parere, il concetto di equilibrio dovrebbe spostare l’attenzione dal “che cosa” al “come”. In pratica, rifacendomi al caso precedente, non si dovrebbe vietare tout court la degustazione di prodotti eno-gastronomici perché degradante per il sito storico, ma concederla a seguito di un reale progetto che attraverso l’iniziativa valorizzi entrambi gli attori, in questo caso il Castel del Monte ed i prodotti del territorio, creando così una valore superiore alla somma dei singoli addendi. Aggiungo, un progetto che dovrebbe prevedere un piano di monitoraggio ed un controllo da parte della Soprintendenza, non tanto dei requisiti, che pur sono necessari (molto spesso ci si ferma a questi), quanto del raggiungimento degli obiettivi concordati, ripeto “concordati”, non concessi.

Quest’ultimo, dei controlli, è un altro dei punti dolenti del nostro sistema; si oscilla tra l’asfissiante e l’inesistente, quasi senza vie di mezzo. Spesso si preferisce vietare perché non si hanno gli strumenti, soprattutto culturali, per controllare. Ci si limita ad un “c’è la legge?” o “non c’è la legge?”, “cosa prevede il regolamento?”; non si entra nel merito dei contenuti. E così, quando poi si controlla, questo si riduce ad una verifica puramente burocratica.

Non è necessario copiare dagli USA, i migliori nel tradurre qualsiasi cosa in business, come spesso qualcuno auspica; lì il modello culturale di riferimento è notevolmente diverso, oltre che quello legislativo.

Basta guardare vicino, alla Spagna ad esempio, che con i “Paradores” ha creato un modello di circuito turistico che valorizza i loro castelli e le antiche dimore soprattutto come beni storici oltre che come beni portatori di redditività.

Oppure analizzare quanto hanno realizzato in Francia con la tutela e la valorizzazione economica dei loro famosi castelli. Non è sempre necessario percorrere strade originali, basta osservare i migliori ed adattare.

Dovremmo spogliarci dal ruolo di “primi” custodi del più grande patrimonio storico e artistico della Terra, del primato indubbio che abbiamo nel campo della conservazione e cercare di scalare un’altra classifica, quella della valorizzazione anche economica dei nostri beni. Al di là dei buoni propositi espressi dalla classe politica, se le “culture”, fino ad oggi contrapposte, non comprenderanno il valore della vera posta in gioco, limitandosi ad una visione di parte, gli episodi di divieto, o per contrappasso, di abuso, si ripeteranno in eterno. L’unica cosa certa è che a perderci saremo noi italiani.


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